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bilancio di missione 2016

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  • PRECEDENTI EDIZIONI

  • Smontiamo luoghi comuni

    SÒTTËNĆOPPA

    Lo sviluppo viene dall’alto

    In 10 anni la Fondazione CON IL SUD ha sostenuto oltre 1.000 iniziative, tra cui la nascita delle prime 5 fondazioni di Comunità del Mezzogiorno, coinvolgendo 6.000 organizzazioni diverse e oltre 280 mila cittadini, soprattutto giovani. Il dato più interessante però non è facilmente quantificabile. In questi dieci anni abbiamo “sostenuto” soprattutto la fiducia, il coraggio, la caparbietà, la capacità di fare rete, la sperimentazione nei territori. In altre parole, abbiamo sostenuto l’idea, e ovviamente tutti coloro che caparbiamente l’hanno messa in pratica, che lo sviluppo non viene da “altrove” e che non serve “aspettarlo”. Lo sviluppo viene dalle responsabilità dei territori e dalla costruzione di comunità solide e mature. Questo comporta avere anche uno sguardo temporale più lungo, che ovviamente si contrappone radicalmente ai tempi rapidi delle facili soluzioni.

    COSA SI MUOVE AL SUD: abbiamo deciso di avviare delle sperimentazioni di sviluppo locale in determinati territori meridionali di piccole dimensioni e con particolari potenzialità, individuati con specifici criteri oggettivi, destinando 5 milioni di euro per ogni area. Attualmente le iniziative interessano i territori di Castelbuono e Isnello nelle Madonie in Sicilia e quelli di Guspini e Arbus in Sardegna. Il processo di sviluppo che si sperimenta è quello della progettazione partecipata attivando, attraverso le organizzazioni del terzo settore locale, tutti gli attori della comunità (enti pubblici, enti privati, commercianti, cittadini, giovani, ecc) avviando un percorso più lento di quello che solitamente siamo abitati a conoscere, ma con risultati concreti duraturi.

    ACĆABBÅDDA

    Al Sud è tutta una mafia

    Sia dire che al Sud è tutta una mafia o che tutta la mafia sia al Sud, in entrambi i casi rappresenta un altro luogo comune. Questo non significa nascondere il problema “mafia” al Sud, ma al contrario si vuole sottolineare come questo sia diventato un problema nazionale, sia in chiave prettamente giudiziaria che di costume e di illegalità diffusa. Che la criminalità organizzata sia ormai ben radicata al Nord e in Europa lo dicono decine di inchieste e di sentenze, ma lo dimostrano anche i dati sui beni confiscati che evidenziano una forte presenza di confische anche in regioni come Lazio e Lombardia. Vi sono tantissime esperienze e storie di uomini, donne, organizzazioni, pezzi di comunità che hanno deciso di contrastare la mafia sul proprio territorio (sul “loro” territorio) con l’impegno e con l’ingegno, per smontare altri luoghi comuni, come quello che la vuole invincibile, sfidandoli sul “loro” terreno: quello dell’economia e del consenso.

    COSA SI MUOVE AL SUD: abbiamo sostenuto 39 interventi su 50 beni confiscati alle mafie al Sud, attraverso due bandi e altre iniziative. Nel 2017 si sono aggiunti altri 17 progetti relativi alla terza edizione del bando beni confiscati, per una valorizzazione soprattutto in chiave economica. Ville, locali, appartamenti e terreni confiscati ospiteranno ostelli, ristoranti, agriturismi e sartorie sociali, incubatori di impresa, centri culturali. Non solo simboli di legalità, ma imprese sociali e attività aperte alla comunità che se ne riappropriano quotidianamente. Il contrasto alle mafie passa, anche e soprattutto, dal fronte economico. Nella Locride in Calabria il gruppo cooperativo GOEL ha costruito una filiera distributiva agroalimentare per dare dignità e legalità al lavoro e all’economia del territorio partendo da una semplice constatazione: come si fa a pretendere il lavoro sindacale nei campi quando le arance vengono pagate 5 centesimi al chilo dai grossisti? Nasce così una filiera parallela, proprio con le aziende agricole vittime di ‘ndrangheta e grazie ad una particolare organizzazione produttiva oggi GOEL paga alle aziende agricole socie 40 centesimi al chilo, cioè 8 volte più dei 5 centesimi che è il prezzo più alto pagato per le arance in Calabria. Il messaggio che sta passando nel territorio è che essere contro la ‘ndrangheta non solo è giusto, ma è anche conveniente.

    SPÀRDARÏ

    Al Sud si sprecano i soldi

    L’immagine di un Sud colabrodo, dove i flussi di danaro pubblico si perdono chissà dove (ma sicuramente non restano sul territorio e nelle comunità, lasciando al massimo delle “incompiute”) è sempre presente. Non ci sono però motivazioni di ordine antropologico per affermare che lo sperpero è una tendenza incontrovertibile. E’ soprattutto questo atteggiamento “rassegnato” il luogo comune più difficile da smontare. Il fenomeno esiste, ma per fortuna non è sempre così e non è così dappertutto. Il primo passo da fare è stringere un patto sincero con le comunità, offrendo fiducia e avviando processi aperti alla partecipazione, accessibili ma con rigorosi e continui sistemi di monitoraggio e di verifica dei risultati.

    COSA SI MUOVE AL SUD: in questi dieci anni abbiamo messo a punto un sistema di monitoraggio specifico che permette di rendere conto dell’andamento della maggior parte delle iniziative finanziate, con l’obiettivo di improntare la gestione delle nostre attività a criteri di efficienza, efficacia e soprattutto alla massima trasparenza nei confronti degli stakeholder. In altre parole seguiamo il ciclo completo del progetto, dal momento dell’assegnazione del contributo fino ed oltre la sua conclusione (anche per 2 o 4 anni successivi). Accanto al “monitoraggio finanziario”, che prende in esame i meccanismi di copertura economica dei progetti finanziati e prevede un controllo di congruenza formale e sostanziale delle spese sostenute, c’è il “monitoraggio tecnico”, che esamina i processi di implementazione dei progetti finanziati e il grado di raggiungimento degli obiettivi e dei risultati attesi. Tutto questo avviene attraverso la “verifica documentale” e le “visite sul campo”, ma anche con il supporto di “rilevazioni e questionari”. Nel 2016, sulle iniziative valutate, l’80% si attesta su una valutazione buona o superiore. Ma il monitoraggio non è inteso solo come verifica, è anche “ascolto”, condivisione e superamento di problemi e criticità, feedback e input per migliorare e fare evolvere le sperimentazioni promosse dalla Fondazione.

    MÄRAMì

    Il Welfare è solo un costo

    Il welfare è sostanzialmente un lusso. E come tale è un costo, troppo alto, per la collettività. Un concetto da smontare e da ribaltare, che contiene purtroppo un’amara verità: il welfare state, così come lo abbiamo conosciuto finora, difficilmente ritornerà. Questo non significa che lo Stato si “ritira”, così come non si intende neanche delegare il welfare alle organizzazioni del terzo settore. C’è bisogno dello Stato, ma con un ruolo diverso, più aperto alla partecipazione delle comunità locali e dei cittadini già nella fase delle scelte strategiche e il Terzo Settore è certamente un attore strategico. Si possono avviare servizi migliori, più vicini alle reali esigenze del territorio, evitare tanti sprechi, che al Sud sono moltissimi, ed essere più efficienti e giusti. Portando il ragionamento
    brutalmente sul piano della spesa pubblica, domandiamoci quanto costa alla collettività un adolescente che entra nel circuito penale minorile (processi, detenzione, servizi sociali, ecc) e quanto occorre invece per aprire o tenere in vita dei centri aggregativi per giovani, in quartieri a forte presenza criminale, dove rappresentano l’unica alternativa alla strada? Un esempio concreto? In Sicilia decine di ragazzi che frequentavano centri aggregativi, dopo la chiusura per mancanza di finanziamenti pubblici, in pochi mesi e con un paio di retate sono entrati nel circuito penale.
    Non tutto può essere economicamente conveniente e i servizi devono essere comunque garantiti. In taluni casi, il welfare di comunità “perfino” conviene.

    COSA SI MUOVE AL SUD: attraverso il programma “Luci è libertà”, la Fondazione di Comunità di Messina ha promosso il reinserimento sociale di una sessantina di ex detenuti dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto che, destinatari di un budget individuale assegnato dallo Stato italiano, hanno scelto di farlo confluire nel fondo della Fondazione di Comunità, di cui sono soci. Con la stessa somma sostenuta dallo Stato Italiano per il ricovero in comunità terapeutica di un ex internato (70 mila euro l’anno), il programma sostiene il suo reinserimento sociale per 20 anni (per un “costo” di 3.500 euro l’anno). E, nel tempo, la persona è messa nelle condizioni di sostenersi da sé.

    DDÙBBÅTÛ

    Con la cultura non si mangia

    Una frase che, purtroppo, è divenuta celebre e significativa, perché in fondo è un pensiero molto diffuso e sempre più “confessabile”. Sono già state spese tantissime parole e anche da parte di grandi intellettuali. Ciò nonostante, resta ancora un luogo comune. Ci limitiamo semplicemente a sottolineare che una delle più importanti fonti di ricchezza per il Sud Italia (spesso, purtroppo, solo potenziale) è proprio la cultura (paesaggio, storia, tradizioni, enogastronomia, ecc). Ma anche qui, attenzione a non esagerare evitando che diventi un ulteriore luogo comune, anche se di segno opposto. L’esperienza ci dimostra che nei casi in cui la cultura è vista come una leva di riscatto, coesione sociale e valorizzazione delle identità territoriali, è sicuramente qualcosa che offre opportunità concrete a giovani e territori.

    COSA SI MUOVE AL SUD: attraverso l’iniziativa “Il Bene torna comune” abbiamo voluto promuovere l’uso comunitario dei beni culturali al Sud, per una più ampia fruibilità da parte della collettività e come strumento di coesione sociale. L’ultimo bando: oltre 220 beni inutilizzati proposti dai rispettivi proprietari, enti pubblici e privati, e 7 iniziative selezionate per recuperare e valorizzare altrettanti beni. Un processo che parte dal territorio, già sperimentato in diversi altri progetti sostenuti dalla Fondazione e divenuti modelli di successo, valorizzando il patrimonio delle comunità meridionali: ovvero cultura, bellezza, capitale umano.

    CÀPÖKA

    Il divario tra Nord e Sud è questione di PIL

    Il divario tra Nord e Sud storicamente è stato sempre fatto coincidere con il gap di reddito tra le due aree, riducendo il tutto alle differenze di Pil. Esistono altri divari, altrettanto misurabili, che riguardano ospedali, scuole, servizi, disoccupazione giovanile e femminile, e in generale le condizioni di vita soprattutto nelle grandi periferie meridionali, che messe insieme raggiungono milioni di abitanti. Le risorse economiche sono fondamentali, ma siamo sicuri che siano la causa del divario? Al Sud mancano gli asili, la cultura dei beni comuni e uno sviluppo maturo perché mancano risorse e reddito? Come si spiegano i risultati modesti di oltre sessant’anni di misure straordinarie per il Mezzogiorno, dei fondi strutturali europei e in generale di una politica orientata quasi esclusivamente dalla “offerta”? E come se ne esce visto che negli ultimi tempi, inoltre, il Sud non è neanche una priorità? Proviamo a smontare il grande luogo comune che ci presenta, come un principio fissato nella roccia, il seguente schema: prima viene lo sviluppo economico e poi, se avanzano risorse, anche tutto il resto. Proviamo a ribaltarlo, rivedendo le priorità e mettendo al centro la coesione sociale e la comunità. Queste sono le premesse, le pre-condizioni dello sviluppo e non il loro effetto.

    COSA SUCCEDE AL SUD: 50% dei residenti è a rischio povertà o esclusione sociale; 10,9% di famiglie con bambini in povertà assoluta; 19% di early school leavers; 8
    ragazzi su 10 nell’ultimo anno non hanno letto un libro, non sono andati a teatro, non sono andati al cinema, non hanno visitato mostre; disoccupazione giovanile al 40%. In Calabria la percentuale di bambini presi in carico dai servizi per l’infanzia è del 2%, mentre l’Unione Europea indica come obiettivo da raggiungere il 33% (Obiettivo di Lisbona).

    Fonti dati: Atlante dell’Infanzia a rischio 2016 – Save the Children;
    Rapporto Istat 2016

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